lunedì 15 agosto 2016

Alcuni spunti per la “risposta creativa” alla Crisis

Alcuni spunti per la “risposta creativa” alla Crisis


Alcuni spunti presi da: Bede Griffiths, “Meditazione e comunità. La nuova creazione in Cristo”, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 2005 (prima edizione 1999):

“...È quindi importante che gli oblati di san Benedetto restino i contatto con un monastero maschile o femminile, in cui si preserva la tradizione della preghiera. Penso che tutti lo riconosciamo. I gruppi sono sparsi ovunque, ma hanno bisogno di un qualche legame con la tradizione. Padre John [Main] parlava continuamente della «tradizione». Si tratta di una realtà vivente che passa da persona a persona e noi abbiamo bisogno di questo legame.” (Pag. 40)

“Leggendo questi testi [Upanishad e Bhagavad Gita] entriamo in contatto non solo con il sacro, ma anche con un movimento mondiale. Nel V secolo a.C. si è registrato un potente balzo in avanti nella storia umana. Carl Jaspers parla di «periodo assiale». Vi avvenne qualcosa che permise all’umanità di oltrepassare il mondo dei sensi, il mondo esteriore con tutti i suoi déi e le sue dee, e di prendere coscienza dell’infinita realtà e verità trascendente. Lo si vede nelle Upanishad, nel Buddha in India, in Lao Tse in Cina e, in qualche misura, in Zaratustra di Persia, in Grecia con Eraclito, Socrate e Platone, e contemporaneamente, in Israele con i profeti maggiori. Si è trattato di un fenomeno mondiale. Tutte le principali religioni mondiali provengono da quel periodo. È importante cominciare la propria preghiera e meditazione ricollegandosi a quel potente balzo in avanti dell’umanità.
   Naturalmente, nel caso dei laici, questa focalizzazione sulla preghiera e sulla meditazione deve essere inserita in un’esistenza normale, finalizzata anche a procurarsi di che vivere nel mondo. È qui che comincia il problema. Ed è su questo punto che dobbiamo incentrare il nostro lavoro. Una vita del genere può comportare varie occupazioni, [...].
   Infine, dobbiamo riflettere sul modo in cui poter collegare tutte le comunità laicali sparse nel mondo. Tutti sentiamo la necessità di avere forme di collegamento. Non vogliamo una grande organizzazione. Ciò rappresenta un grosso pericolo. Dobbiamo avere una specie di centro, ma la federazione dei vari gruppi dovrebbe essere piuttosto sciolta, in modo che ogni comunità possa conservare la propria individualità, con i suoi usi e costumi e le sue tradizioni, ed essere al tempo stesso in collegamento con le altre e con un monastero o guida spirituale. Sembra essere questo il modello cui guardare. Quando si ha una piccola comunità – le comunità dovrebbero essere normalmente piccole – altre persone possono aggiungersi e dopo un certo tempo sciamare e dar vita a un’altra piccola comunità, piuttosto che ingrandire oltre misura un piccolo gruppo. Le grandi comunità creano sempre problemi, problemi economici anzitutto.
   Ma qualunque sia l’organizzazione, dobbiamo sempre ricordare che questi gruppi sono essenzialmente contemplativi. Non dobbiamo mai dimenticarlo. Altrimenti, perderemo il nostro vero valore e significato. Qualunque lavoro ci attenda, qualunque servizio svolgiamo, dobbiamo collegarlo e associarlo intimamente alla nostra preghiera, alla nostra meditazione, alla nostra contemplazione. Noi cerchiamo di introdurre tutta la nostra vita, tutto il nostro essere, tutta la nostra esistenza secolare, in questa profonda vita di preghiera. È questo che cerchiamo di fare. È questa la nostra speranza per queste comunità laicali. Ed è questa la nostra preghiera: che tutti questi gruppi e incontri si trasformino gradualmente in un nuovo tipo di Chiesa, una Chiesa che è incentrata sulla preghiera contemplativa e rinnova tutta la vita cristiana e, speriamo, la vita umana nel contesto della preghiera”. (Pag. 42-45)

“Dobbiamo ricordare che un monaco non è un sacerdote ed è molto importante tenere distinte queste due vocazioni. [...].
   Sento che oggi siamo giunti a un punto in cui dobbiamo tenere separate e distinte le due vocazioni. Il monaco è un laico. San Benedetto non era un sacerdote e le prime comunità benedettine erano «comunità laiche». Il monaco possiede la sua vocazione specifica, che è vocazione di preghiera, meditazione e offerta della vita a Dio. Il sacerdote invece è chiamato a svolgere un ministero sacramentale. Secondo me, normalmente il monaco non dovrebbe lasciarsi coinvolgere nel ministero sacramentale. Un monaco indù passa attraverso una specie di rito funebre quando diventa sannyasi. Muore all’ordine sociale e si ritiene che non debba più celebrare il puja. Nella tradizione indù, il puja è il rito che celebra normalmente il sacerdote. Il sannyasi ha oltrepassato la dimensione sociale e sacramentale e appartiene a Dio solo.
   Un ordine monastico è essenzialmente un ordine laicale. Alcuni monaci possono vivere nei monasteri, ma sempre più spesso la maggior parte di loro vivrà in casa propria o formerà piccole comunità, un ordine monastico nel mondo. Assomiglieranno maggiormente ai sufi che non sono sacerdoti. Spesso il sufi è sposato e la comunità si riunisce nel contesto della famiglia. Sono modelli che potremmo facilmente imitare ed è probabilmente questa la direzione nella quale stiamo andando, oggi.” (Pag 103-104)

“Alcuni ashram cattolici sono molto impegnati nell’attività sociale e sono stati fondati principalmente a tale scopo. Ma noi sentiamo che l’ashram è un centro dove può maturare una consapevolezza più profonda. La nostra meditazione dovrebbe renderci naturalmente più coscienti dei problemi dell’umanità e del nostro prossimo. L’attività sociale dovrebbe scaturire dalla nostra contemplazione. Non dovrebbe essere un’attività collaterale o qualcosa di intrinsecamente diverso, ma dovrebbe essere integrata nella nostra preghiera e meditazione.
   Personalmente, ho sempre sentito che la meditazione perde in profondità quando non si nutre dei problemi della gente e dei problemi del mondo. Non c’è rivalità tra contemplazione e azione.” (Pag. 111)


Personalmente, ho sempre sentito che la meditazione perde in profondità quando non si nutre dei problemi della gente e dei problemi del mondo.    

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