lunedì 19 settembre 2016

Da un interessante articolo su Gioacchino da Fiore

Da un interessante articolo su Gioacchino da Fiore,
dalla rivista “Medioevo, un passato da riscoprire”, Settembre 2016.







“Elucemi dallato
il calavrese abate Giovacchino
di spirito profetico dotato”
Dante, Paradiso, XII, 139-141.


Giacchino da Fiore nacque a Celico, un paesino della Presila, – collegato all’entroterra cosentino da un immenso ponte che mette in comunicazione metà provincia con l’altra metà, e che negli ultimi mesi ha dato segni potenti di cedimento, ma che rimane per il momento miracolosamente in piedi – fra il 1130 e il 1135 e morì nel 1202 vicino Pietrafitta.
Avviatosi alla carriera notarile, svoltò poi verso la vita contemplativa, partendo nel 1167 verso la Terra Santa allora nelle mani dei cristiani.
Analizzando il testo biblico, Gioacchino giunge a formulare una filosofia della storia che vede la corrispondenza di tre età con le tre persone della Trinità. La prima è quella del Padre, relativa al Vecchio Testamento, a cui è succeduta l’era del Figlio, dalle quale la Chiesa da Lui fondata è l’elemento centrale, la terza sarà invece quella dello Spirito, quando il mondo subirà una vera  e propria trasfigurazione. I tempi nuovi saranno annunciati dai segni presenti nell’Apocalisse, le gerarchie ecclesiastiche saranno dunque superate, e dopo gli sconvolgimenti del momento di passaggio, si aprirà un’epoca di pace e di gioia. Secondo Gioacchino sorgerà quindi una nuova Chiesa: l’Ecclesia Spiritualis, da lui stesso vagheggiata.

                             ("Cerchi trinitari", dal Liber Figurarum di Gioacchino da Fiore)     

“Secondo la tradizione, proprio nella Città Santa Gioacchino ebbe l’intuizione di studiare e interpretare in parallelo l’Antico e il Nuovo Testamento, ponendo così le basi per la sua ardita esegesi delle Scritture in chiave escatologica. Secondo l’abate calabrese la storia dell’umanità è totalmente racchiusa nel mistero divino e Dio Padre si è manifestato all’uomo proprio attraverso le Scritture”.

“Nel corso di questo soggiorno [presso i Cistercensi] avrebbe avuto due rivelazioni: la prima nel giorno di Pasqua, l’altra nella ricorrenza della Pentecoste. Le rivelazioni riguardavano la chiara comprensione dell’Apocalisse di Giovanni e i profondi legami tra l’Antico e il Nuovo Testamento.”

“[...] nel 1187, Gerusalemme cadeva per mano dell’esercito musulmano guidato da Saladino e il contraccolpo per tutta la cristianità fu terribile. La perdita della Città Santa, che l’abate aveva visitato anni prima, rappresentò un punto di svolta per la sua elaborazione dottrinale. Gioacchino vide in questa sconfitta epocale l’accelerarsi della venuta dei tempi ultimi.”

“In quel difficile XII secolo, i due poteri universali [Papato e Impero] erano in aperto conflitto [...]. Per ritorsione contro lo Svevo, il papa si rifiutava di incoronare il di lui figlio Enrico, che stava per sposare Costanza d’Altavilla, secondo il progetto federiciano di dare vita ad una forte alleanza dell’impero romano-germanico con i Normanni di Sicilia: un piano visto come una minaccia dal pontefice.”[1]

“Gli eventi che in quello scorcio del XII secolo si andavano succedendo influenzarono in maniera significativa anche le scelte personali del monaco calabrese. Nonostante i richiami provenienti da Corazzo, Gioacchino decise di ritirarsi nell’eremo di Petra Lata (o Pietra Alata, come credevo si dicesse...) sulla Sila dove, secondo gli studi più attendibili, avrebbe portato a termine le sue opere maggiori, fra cui il De vita sancti Benedicti, nella quale coglie l’occasione per ribadire l’originalità della Regola benedettina, fondamento del monachesimo latino e, al tempo stesso, per denunciare l’inadeguatezza di quegli Ordini monastici del suo tempo che, magari in buona fede, da essa si erano allontanati, non riuscendo così a porre un argine rispetto alla profonda crisi che la cristianità occidentale stava attraversando.”

Interessante che, stando a questa concezione, devono essere gli “Ordini monastici” a “porre un argine” alla crisi dell’Occidente.

“Le regole dell’Ordine fondato da Gioacchino erano molto rigide, basate sullo stile di vita monastico, sul lavoro, ma, soprattutto, sulla virtù della contemplazione, che avrebbe favorito il fiorire di quell’epoca dello spirito caratteristica della dottrina del fondatore [grassetti miei]. Si trattò di una vera e propria riforma nel segno dell’essenza più antica del monachesimo latino di origine benedettina. In questo senso la congregazione si discostava decisamente dai Cistercensi, mentre l’ideale di povertà e di sobrietà, percepibile anche nell’architettura florense, avvicinerà il nuovo Ordine a quelli mendicanti, francescani e domenicani.”

“Guglielmo da Ockham, così come il movimento dei begardi e delle beghine, ma soprattutto gli spirituali francescani, hanno riconosciuto in Gioacchino da Fiore il loro punto di riferimento. L’avvento di una chiesa spirituale, contrapposta alla chiesa carnale, secondo la definizione degl spirituali francescani, come Angelo Clareno, Ubertino da Casale, Pietro di Giovanni Olivi e molti altri, rappresenta il punto di arrivo della storia umana, destinata a spalancare le porte a una nuova era fondata sulla pace e sulla concordia. Anche il movimento dei flagellanti deve la sua genesi al sistema dottrinale di Gioacchino. Avvicinandosi il tempo in cui la rivoluzione della cristianità vedrà finalmente l’alba di una nuova era, ispirata dallo Spirito Santo, diventa urgente fare penitenza, tramite l’autoflagellazione, per preparare l’avvento dello Spirito.”

Ecco, magari non ci si aspetta che i decision makers di oggi (ma saranno veramente loro?), come politici, manager di multinazionali, economisti e altri scendano per le strade a darsi catenate sulla schiena implorando pietà – per carità sarebbe una scena molto suggestiva!! –, ma innazitutto dobbiamo partire dall’assunto che la “rivoluzione” non sarà solamente “della cristianità”, ma sarà un fenomeno globale, per cui volerlo ridurre ad una o l’altra forma tradizionale significa vietarsi di comprendere, sarà qualcosa di molto più trasformativo e che implicherà quindi la fine delle attuali forme tradizionali.
Per cui non è necessario andare girando col cilicio, ma forse qualcosa di anche più difficile per gli esseri umani di oggi, e cioè cambiare coscienza, cambiare dentro, fare una svolta interiore: questo il significato originario di “penitenza”, di “conversione”, da cum-versio, cioè “fare una svolta ad U” e tornare verso il Centro. Molto più difficile questo che non il cilicio, figuriamoci, nessuna illusione a riguardo! Ma comprendere che la vita che si fa in questa società Occidentale divenuta ormai globale, così impostata, vita spoglia dello spirito, dell’ “unica cosa che conta” (come diceva San Bernardo...), e che si oblìa in migliaia di finte soluzioni, distrazioni inutili ed enormi rimozioni, non ha alcun senso e si è voluta costruirla, questa società umana priva di senso e di significato.
Da qui, da questa presa d’atto, da questa presa di coscienza, il ritorno al Centro, il ritorno alla Tradizione, che non è un ritorno alle tradizioni.
Ma torniamo a Gioacchino.

“[...] Il tempo dello Spirito, invece, sarà caratterizzato da un nuovo ordine monastico, capace di tornare alla primitiva purezza dell’annuncio evangelico. Al concetto agostiniano della caducità progressiva del mondo, che prepara la seconda venuta di Cristo, Gioacchino contrappone l’idea secondo cui al tempo della decadenza farà seguito un’epoca di pace e di concordia, quella dello Spirito [in realtà volendo vedere più in profondità le due concezioni non si contrappongono affatto, cambia solo il punto di vista a seconda che il “focus” sia questa era in cui ci troviamo e in cui Agostino si ritrova a scrivere (questo manvantara, più in particolare nel Kali-Yuga), oppure nel passaggio alla prossima che è il perno della visione di Gioacchino, nota mia]. L’originalità e il fascino delle sue teorie è racchiuso proprio in questa ermeneutica della storia della salvezza del genere umano, illuminato dalla Trinità che agisce contemporaneamente nelle diverse epoche, sebbene in forma diversificata secondo il loro susseguirsi.”

                                                           ("Il Drago dell'Apocalisse")

("L'albero dei due avventi")


[1] Questa tensione tra Papato e Impero sulla “questione meridionale” è molto importante, perché accrebbe il dissidio interno alla cristianità e alla separazione dei poteri. Questo seme arrivò poi alla germogliatura alcuni secoli più avanti, facendosi complice anche della nascita della modernità con la Riforma e Martin Lutero, e quindi poi lo sviluppo di scienza e tecnologia and so on.
L’aspra tensione che continuò tra il papa e l’imperatore, quando il seggio imperiale era occupato da Federico II, che aveva pianta stabile in Sud Italia, è anche “seme” del futuro affossamento del Sud: l’identità e la compattezza che l’Impero in quegli anni diede al Sud Italia, politicamente e culturalmente, non fu però un processo abbastanza cristallizzato, consolidato, e con la morte di Federico e il passaggio del regno tra Angioini e Aragonesi nei secoli successivi impedirono al Meridione di farsi Stato vero e proprio, laddove se il progetto imperiale fosse continuato, le cose sarebbero andate ben diversamente.

martedì 6 settembre 2016

Alcune riflessioni sul termine latino "colo"

Alcune riflessioni sul verbo latino "colo"


Nella lingua latina esiste un verbo che ha uno spettro di significati interessante. È colere, il cui significato principale è quello di coltivare, e la cui radice sembra derivare dal sanscrito col significato di "spingere l'aratro" o "spingere innanzi".


La cosa interessante è che questa radice ha dato origine a tre parole, apparentemente non apparentate, che riguardano l'agire umano.
Nel suo significato principale, come abbiamo visto, colo ha come ambito la lavorazione della terra e da perciò forma alla parola coltura, o coltivazione.
La coltura, quindi, è il risultato dell'azione dell'uomo sulla terra, cioè del suo rapporto verso ciò che sta in basso rispetto a lui.
Un'altra parola che deriva da colo designa invece l'azione dell'uomo verso il cielo, cioè nella direzione verso l'alto: culto.
Il culto è ciò che mette in rapporto l'uomo con ciò che gli è superiore; un insieme di riti o di pratiche, religiose o spirituali.

Già qui vediamo delinarsi l'Uomo come elemento centrale e mediano tra Cielo e Terra, le cui azioni sono volte a mettere in relazione i due termini. È in altri termini anche il concetto della Grande Triade che si ritrova in Cina nel Taoismo.

Una terza parola può venirci ulteriormente in aiuto. È cultura, anch'essa derivata da colo. Questa parola riesce a descrivere l'azione dell'uomo "sul piano orizzontale", nei riguardi dell'uomo stesso, del manava-loka ("mondo degli uomini" in sanscrito).
Provando a delineare un semplice simbolo per sintetizzare quanto detto "suso", potremmo tracciare una linea verso l'alto, " | ", a indicare l'uomo che si rapporta verso l'alto, in direzione del Cielo, ovvero il culto, come abbiamo detto.
Possiamo tracciare una linea sempre verticale, questa volta immaginandocela direzionata verso il basso, stante a indicare la coltura, o coltivazione, ovvero l'uomo in rapporto a ciò che sta in basso, la Terra; ed infine la cultura, opera dell'uomo sul suo "piano orizzontale", come una linea orizzontale " — " che interseca le altre due, formando una croce che è da sempre e in molte tradizioni simbolo dell'uomo. Considerando le due semirette che si formano dall'intersezione della linea orizzontale con quella verticale, e immaginandocele direzionate rispettivamente verso sinistra e verso destra, potremmo dire che la cultura è il risultato dell'azione dell'uomo che cerca di capire da dove viene e verso dove va.



P.S. È interessante notare, sempre in riferimento a ciò, che dei numerosi significati presenti nel dizionario, i due più frequenti siano proprio "coltivare" e "venerare": l'atto del rivolgersi verso l'alto essendo delineato particolarmente dal culto di Venere, che doveva quindi avere un significato ed un'importanza preminente.