L’attualità dell’aśvamedha
Il rito dell’aśvamedha, il sacrificio del cavallo, è
uno dei più antichi dell’umanità ed è presente nelle tradizioni di diversi
popoli, e i suoi echi arrivano fino ai giorni nostri. Vediamo come: nel suo
significato originario e più antico, i riti dell’aśvamedha sono da accostare ai riti notturni che gli antichi
sacrificanti vedici compivano per aiutare Indra nella lotta contro Vritra: “La
durata del sacrificio Ashvameda non è ancora fissata poiché dipende dal ritorno
del cavallo. Nel Rig Veda (I-163, 1) il cavallo [aśva in sanscrito] del sacrificio è identificato
con il Sole che si muove nelle acque. Il ritorno del cavallo sacrificale può,
forse, simboleggiare il ritorno del Sole dopo la lunga notte [...], erano
compiuti per aiutare Indra nella battaglia contro Vala e liberare l’Alba e il
Sole dagli artigli di costui”.[1]
Questi riti venivano compiuti
nel lungo inverno composto da una lunga notte composta da 100 “giorni” che gli
antichi progenitori dei rishi vedici vivevano al tempo della loro permanenza
nella zona circumpolare, quando essa era adatta alla vita.[2]
Iniziavano perciò all’inizio di questo lungo inverno che durava 100 giorni,
dopo 10 mesi “di sole”, e servivano per donare forza a Indra per aiutarlo a
recuperare il Sole e riportarlo nell’emisfero superiore del cielo. Pertanto
“[...] non dobbiamo sorprenderci che il Shata-râtra, o sacrificio del Soma,
appaia sotto la forma di cento sacrifici Ashvamedha nei Purâna. La tradizione è
sostanzialmente la stessa nei due casi e si può spiegare facilmente e naturalmente
con la teoria artica”.[3]
Troviamo a Roma il primo
discendente di questo rito, ormai molto spoglio, e cioè l’October Equus. Plutarco ci informa che alle idi di Ottobre “dopo
una corsa di cavalli, il cavallo di destra del carro vincente viene consacrato e
sacrificato a Marte”[4],
successivamente qualcuno taglia la coda all’animale e la porta nella Regia e con essa insanguina l’altare,
mentre due gruppi sfidanti, provenienti gli uni dalla Via Sacra e gli altri
dalla Suburra, lottano tra loro per la testa del cavallo. La provenienza dei
due gruppi sta a indicare gli schieramenti, a favore delle potenze del giorno i
primi, e di quelle notturne i secondi. Plutarco, a cui non era più evidente il
simbolismo del rito, si chiedeva infine perché fosse proprio un cavallo
vincente ad essere immolato.
Dumézil ebbe il merito di
accostare il rito dell’October Equus all’aśvamedha,
e grazie a Tilak sappiamo perché questo fosse officiato proprio in Ottobre.
Infatti il calendario romano arcaico era composto di soli dieci mesi, ricordo
della condizione dell’antica patria delle origini in cui il Sole splendeva
sopra l’orizzonte per dieci mesi appunto, per sprofondare definitivamente “nel
quarantesimo giorno di Sharad [autunno]” per altri due, causando una lunga
notte invernale in cui bisognava aiutare gli déi per riportare la vittoria
della luce sulle tenebre. Per questo motivo il rito dell’October Equus era
celebrato proprio nel periodo in cui nelle regioni circumpolari il Sole veniva
inghiottito e iniziavano i riti dell’aśvamedha.
Questo rito interessò anche
Federico II ed è connesso con
quanto sta succedendo oggi in Medio Oriente. “Si narra che un giorno in un
colloquio con un dotto ebreo, l’imperatore gli chiese come mai Maimonide, né
nella ‘Guida dei dubbiosi’, né nelle ‘Ragioni dei precetti’ avesse spiegato
l’origine di un singolare rito mosaico secondo il quale la purificazione
dovesse essere fatta con le ceneri di una vacca rossa. All’impossibilità di avere
una risposta, Federico II propose
una sua spiegazione facendolo derivare da un antichissimo rito dell’India,
l’olocausto del leone fulvo di cui parla un non ben identificato ‘Libro dei
sapienti indiani’”.[5] Secondo l'imperatore si sarebbe poi sostituito al leone il cavallo.
A. Ianniello ci da la chiave
quando afferma che “La ‘purificazione’ di cui parla Federico II in realtà è riferita ai riti del
Tempio, il che ne spiega il disuso e l’incomprensione delle sue motivazioni. Tant’è
che c’è a Gerusalemme il ‘Temple Institute’ che, molto seriamente, progetta la
ricostruzione del Tempio di Gerusalemme (che sarebbe il Terzo Tempio). C’è il
sito Internet ed hanno già costruito molte suppellettili (è un ‘ente morale’ cui si possono destinare donazioni). Oggi ha l’appoggio della maggioranza degli
Israeliani, a differenza di qualche anno fa. Ebbene, essi cercano la ‘Red
Heifer’, la vacca fulva, la ‘giovenca rossa’, alla lettera, le cui ceneri usare
per la purificazione e consacrazione del locale dove riallocare il Tempio”.[6]
Ora, tre anni fa è nata la
giovenca rossa (cfr. https://www.notiziecristiane.com/terzo-tempio-disraele-e-nata-la-mucca-rossa-iniziano-gli-scontri/),
e i recentissimi movimenti per aprire la strada a Gerusalemme capitale d’Israele
vanno in questa direzione. Tutto ciò è
connesso, come si sa, al “passaggio dell’Eufrate dei re che vengono dall’Oriente”
e all’emersione di nuove pericolose figure.
[1] L.G.B. Tilak, La dimora artica nei Veda, ECIG, Genova 1986, p. 163.
[2] A tal proposito, su di una prima tappa
intermedia della diaspora degli indo-europei dalla regione artica alle penisole
siberiane bagnate dal Mare di Kara, alle foci del fiume Ob, cfr. G. Georgél, Le quattro età dell’umanità, Il Cerchio
Editore, Rimini 1982.
[4] G. Dumézil, La religione romana arcaica, BUR saggi, Milano, marzo 2016, p. 198.
[6] Ibidem.