Da un interessante articolo su Gioacchino da
Fiore,
dalla rivista “Medioevo, un passato da
riscoprire”, Settembre 2016.
“Elucemi dallato
il calavrese abate
Giovacchino
di spirito profetico dotato”
Dante, Paradiso,
XII, 139-141.
Giacchino da Fiore nacque a
Celico, un paesino della Presila, – collegato all’entroterra cosentino da un
immenso ponte che mette in comunicazione metà provincia con l’altra metà, e che
negli ultimi mesi ha dato segni potenti di cedimento, ma che rimane per il
momento miracolosamente in piedi – fra il 1130 e il 1135 e morì nel 1202 vicino
Pietrafitta.
Avviatosi alla carriera
notarile, svoltò poi verso la vita contemplativa, partendo nel 1167 verso la
Terra Santa allora nelle mani dei cristiani.
Analizzando il testo biblico,
Gioacchino giunge a formulare una filosofia della storia che vede la
corrispondenza di tre età con le tre persone della Trinità. La prima è quella
del Padre, relativa al Vecchio Testamento, a cui è succeduta l’era del Figlio,
dalle quale la Chiesa da Lui fondata è l’elemento centrale, la terza sarà
invece quella dello Spirito, quando il mondo subirà una vera e propria trasfigurazione. I tempi nuovi
saranno annunciati dai segni presenti nell’Apocalisse,
le gerarchie ecclesiastiche saranno dunque superate, e dopo gli sconvolgimenti
del momento di passaggio, si aprirà un’epoca di pace e di gioia. Secondo
Gioacchino sorgerà quindi una nuova Chiesa: l’Ecclesia Spiritualis, da lui stesso vagheggiata.
("Cerchi trinitari", dal Liber Figurarum di Gioacchino da Fiore)
“Secondo la tradizione, proprio nella Città Santa Gioacchino ebbe
l’intuizione di studiare e interpretare in parallelo l’Antico e il Nuovo
Testamento, ponendo così le basi per la sua ardita esegesi delle Scritture in
chiave escatologica. Secondo l’abate calabrese la storia dell’umanità è totalmente
racchiusa nel mistero divino e Dio Padre si è manifestato all’uomo proprio
attraverso le Scritture”.
“Nel corso di questo soggiorno [presso i Cistercensi] avrebbe avuto due rivelazioni: la prima nel giorno di Pasqua, l’altra
nella ricorrenza della Pentecoste. Le rivelazioni riguardavano la chiara
comprensione dell’Apocalisse di
Giovanni e i profondi legami tra l’Antico e il Nuovo Testamento.”
“[...] nel 1187, Gerusalemme cadeva per mano dell’esercito
musulmano guidato da Saladino e il contraccolpo per tutta la cristianità fu
terribile. La perdita della Città Santa, che l’abate aveva visitato anni prima,
rappresentò un punto di svolta per la sua elaborazione dottrinale. Gioacchino
vide in questa sconfitta epocale l’accelerarsi della venuta dei tempi ultimi.”
“In quel difficile XII secolo, i due poteri universali [Papato e Impero] erano in aperto conflitto [...]. Per
ritorsione contro lo Svevo, il papa si rifiutava di incoronare il di lui figlio
Enrico, che stava per sposare Costanza d’Altavilla, secondo il progetto
federiciano di dare vita ad una forte alleanza dell’impero romano-germanico con
i Normanni di Sicilia: un piano visto come una minaccia dal pontefice.”[1]
“Gli eventi che in quello scorcio del XII secolo si andavano
succedendo influenzarono in maniera significativa anche le scelte personali del
monaco calabrese. Nonostante i richiami provenienti da Corazzo, Gioacchino decise di ritirarsi nell’eremo di Petra Lata (o
Pietra Alata, come credevo si dicesse...) sulla Sila dove, secondo gli studi
più attendibili, avrebbe portato a termine le sue opere maggiori, fra cui il De
vita sancti Benedicti, nella quale coglie
l’occasione per ribadire l’originalità della Regola benedettina, fondamento del
monachesimo latino e, al tempo stesso, per denunciare l’inadeguatezza di quegli
Ordini monastici del suo tempo che, magari in buona fede, da essa si erano
allontanati, non riuscendo così a porre un argine rispetto alla profonda crisi
che la cristianità occidentale stava attraversando.”
Interessante che, stando a
questa concezione, devono essere gli “Ordini monastici” a “porre un argine” alla crisi dell’Occidente.
“Le regole dell’Ordine fondato da Gioacchino erano molto rigide,
basate sullo stile di vita monastico, sul lavoro, ma, soprattutto, sulla virtù della contemplazione, che avrebbe favorito il fiorire di
quell’epoca dello spirito caratteristica della dottrina del fondatore
[grassetti miei]. Si trattò di una vera e propria riforma nel segno
dell’essenza più antica del monachesimo latino di origine benedettina. In
questo senso la congregazione si discostava decisamente dai Cistercensi, mentre
l’ideale di povertà e di sobrietà, percepibile anche nell’architettura
florense, avvicinerà il nuovo Ordine a quelli mendicanti, francescani e
domenicani.”
“Guglielmo da Ockham, così come il movimento dei begardi e delle
beghine, ma soprattutto gli spirituali francescani, hanno riconosciuto in
Gioacchino da Fiore il loro punto di riferimento. L’avvento di una chiesa
spirituale, contrapposta alla chiesa carnale, secondo la definizione degl
spirituali francescani, come Angelo Clareno, Ubertino da Casale, Pietro di
Giovanni Olivi e molti altri, rappresenta il punto di arrivo della storia
umana, destinata a spalancare le porte a una nuova era fondata sulla pace e
sulla concordia. Anche il movimento dei flagellanti deve la sua genesi al
sistema dottrinale di Gioacchino. Avvicinandosi il tempo in cui la rivoluzione
della cristianità vedrà finalmente l’alba di una nuova era, ispirata dallo
Spirito Santo, diventa urgente fare penitenza, tramite l’autoflagellazione, per
preparare l’avvento dello Spirito.”
Ecco, magari non ci si
aspetta che i decision makers di oggi
(ma saranno veramente loro?), come politici, manager di multinazionali,
economisti e altri scendano per le strade a darsi catenate sulla schiena
implorando pietà – per carità sarebbe una scena molto suggestiva!! –, ma
innazitutto dobbiamo partire dall’assunto che la “rivoluzione” non sarà
solamente “della cristianità”, ma sarà un fenomeno globale, per cui volerlo ridurre ad una o l’altra forma
tradizionale significa vietarsi di comprendere, sarà qualcosa di molto più
trasformativo e che implicherà quindi la fine delle attuali forme tradizionali.
Per cui non è necessario
andare girando col cilicio, ma forse qualcosa di anche più difficile per gli
esseri umani di oggi, e cioè cambiare coscienza, cambiare dentro, fare una
svolta interiore: questo il significato originario di “penitenza”, di
“conversione”, da cum-versio, cioè “fare una svolta ad U” e tornare verso il
Centro. Molto più difficile questo che non il cilicio, figuriamoci, nessuna
illusione a riguardo! Ma comprendere che la vita che si fa in questa società
Occidentale divenuta ormai globale, così impostata, vita spoglia dello spirito,
dell’ “unica cosa che conta” (come
diceva San Bernardo...), e che si oblìa in migliaia di finte soluzioni,
distrazioni inutili ed enormi rimozioni, non
ha alcun senso e si è voluta costruirla, questa società umana priva di senso e
di significato.
Da qui, da questa presa
d’atto, da questa presa di coscienza, il ritorno al Centro, il ritorno alla
Tradizione, che non è un ritorno alle tradizioni.
Ma torniamo a Gioacchino.
“[...] Il tempo dello Spirito, invece, sarà caratterizzato da un nuovo ordine
monastico, capace di tornare alla primitiva purezza dell’annuncio evangelico.
Al concetto agostiniano della caducità progressiva del mondo, che prepara la
seconda venuta di Cristo, Gioacchino contrappone l’idea secondo cui al tempo
della decadenza farà seguito un’epoca di pace e di concordia, quella dello
Spirito [in realtà volendo vedere più in profondità le due concezioni non
si contrappongono affatto, cambia solo il punto di vista a seconda che il “focus”
sia questa era in cui ci troviamo e
in cui Agostino si ritrova a scrivere (questo manvantara, più in particolare
nel Kali-Yuga), oppure nel passaggio alla prossima che è il perno della visione
di Gioacchino, nota mia]. L’originalità e
il fascino delle sue teorie è racchiuso proprio in questa ermeneutica della
storia della salvezza del genere umano, illuminato dalla Trinità che agisce
contemporaneamente nelle diverse epoche, sebbene in forma diversificata secondo
il loro susseguirsi.”
("Il Drago dell'Apocalisse")
("L'albero dei due avventi")
[1] Questa tensione tra Papato e
Impero sulla “questione meridionale” è molto importante, perché accrebbe il dissidio
interno alla cristianità e alla separazione dei poteri. Questo seme arrivò poi
alla germogliatura alcuni secoli più avanti, facendosi complice anche della
nascita della modernità con la Riforma e Martin Lutero, e quindi poi lo
sviluppo di scienza e tecnologia and so
on.
L’aspra tensione che continuò
tra il papa e l’imperatore, quando il seggio imperiale era occupato da Federico
II, che aveva pianta stabile in Sud Italia, è anche “seme” del futuro
affossamento del Sud: l’identità e la compattezza che l’Impero in quegli anni
diede al Sud Italia, politicamente e culturalmente, non fu però un processo
abbastanza cristallizzato, consolidato, e con la morte di Federico e il
passaggio del regno tra Angioini e Aragonesi nei secoli successivi impedirono
al Meridione di farsi Stato vero e proprio, laddove se il progetto imperiale
fosse continuato, le cose sarebbero andate ben diversamente.