Il “Guru delle nazioni” non sarà più uno Stato
Gustav Le Bon, nel suo
insuperato saggio “Psicologia delle folle”, aveva una visione negativa della
decentralizzazione del potere e della società adducendo che non poteva che
generare discordie e ulteriori frammentazioni, in quanto “condurrebbe ad una
insana anarchia, preludio ad un avvento di una nuova centralizzazione più
gravosa della precedente”[1].
Ora, mutatis mutandis, possiamo intendere la deglobalizzazione come una
fase planetaria di decentralizzazione, di risorgenza dei nazionalismi e delle
destre. Ma come tutti i falsi ritorni, non potrà funzionare, e finirà generando
una contro-corrente centralizzante come evidenziato sopra da Le Bon e
recentemente da Andrea A. Ianniello (cfr. http://associazione-federicoii.blogspot.it/2016/11/il-bignamino-parte-2.html)
da cui sto attingendo a piene mani per sviluppare l’analisi.
Sperare che l’ennesimo
cambiamento della struttura istituzionale della società possa comportare un
cambiamento dell’uomo è la chimera dell’uomo moderno a cui non ha mai veramente
rinunciato. Scriveva sempre Le Bon: “È ancora diffusa l’idea che le istituzioni
possano rimediare ai difetti della società, che il progresso dei popoli sia il
risultato dei loro governi e che i progressi sociali si possano operare a furia
di decreti”[2].
Queste parole risultano estremamente simili a ciò che scriverà Sri Aurobindo
nel primo numero della rivista Karmayogin, da lui fondata per dare
un’accelerata ai moti indipendentisti dell’India di inizio Novecento: “L’Europeo
ripone molta fiducia nell’apparato istituzionale. Egli cerca di rinnovare
l’umanità mediante schemi di società e sistemi di governo; cerca di portare il
millennio con un atto parlamentare. L’apparato istituzionale è di grande
importanza, ma solo come mezzo operativo per lo spirito interiore, la forza che
sta dietro.”[3]
A giudicare dalle date di
pubblicazione di questi scritti, da cui è passato più di un secolo (!), sembra
proprio che siamo molto duri a comprendere. È già molto difficile che una
persona si risvegli alla consapevolezza che, già solo a livello individuale, è
l’interiore che genera l’esteriore e che perciò un cambiamento effettivo potrà avvenire solo mutando la
propria interiorità; ancora più resistenze si manifesteranno per far sì che
questa verità sia riconosciuta a livello collettivo. Non è difficile, ad un
certo punto, notare che non è agendo sul fisico e facendo esercizi ginnici che
si svilupperà uno spirito libero, una mente fluida che permette di fluire con
gli eventi e una serenità d’animo che è indipendente dalle condizioni
esteriori. Più difficile parrebbe capire che le istituzioni della società, i
governi e gli Stati, sono l’aspetto esteriore e fisico dell’umanità e che
perciò non è sufficiente mutare questi. Nel felice paragone di Le Bon: “Un popolo
non sceglie le istituzioni che gli aggradano, come non sceglie il colore dei
suoi occhi e dei suoi capelli. Le istituzioni e i governi rappresentano il
prodotto della sua razza.[4]” Che,
nel linguaggio del tempo, significava la natura esteriore in senso quasi
biologico.
Allora, tornando ai giorni
attuali, questa spinta frammentatrice che si sta manifestando nel corso del
2016, tra Brexit, Trump e sempre maggior successo delle destre che si scontrano con le forze della politica più a favore della globalizzazione e del trend che
è stato in auge nello scorso trentennio, dopo una fase più o meno lunga di
ulteriore crisi e disfacimento del tessuto sociale, economico e politico, finiranno
per riconoscere la necessità di una nuova figura “centralizzante” che ponga un
nuovo argine ai conflitti e alle discordie che di qui a poco, inevitabilmente, emergeranno
con ancor più prepotenza nella società. Queste contraddizioni ovviamente sono
già presenti ai nostri giorni e attendono solo varco attraverso cui potersi
sfogare.
Non sono certamente in grado
di prevedere di che natura sarà questa “figura centralizzante”, se non che,
malgrado le apparenze e le forti illusioni collettive di cui sarà circondata,
sarà come nel parere di Le Bon “più
gravosa della precedente” e di quelle che la storia abbia registrato.
Né avrà connotazioni
puramente politiche, o economiche, ma bisognerà fare i conti anche con le
contraddizioni del campo religioso che ultimamente stanno esondando dal loro
campo e investendo altri ambiti, e questo non solo nell’Islam, ma anche come è
evidente nel Cattolicesimo e in tutte le forme tradizionali. Forme tradizionali
che stanno sempre rinnegando sempre più apertamente la loro essenza[5] per
andare incontro alle folle, come l’apertura all’aborto di Papa Francesco e il
Dalai Lama che preferirebbe un-a nuova Dalai Lama donna e possibilmente
avvenente. Perciò non è da escludere che questa figura potrebbe anche far suoi questi e altri campi.
A questo punto, secondo la
“legge di natura” descritta nel sopracitato articolo di cui ho fornito il link,
anche questo “evento” porterà inevitabilmente alla nascita di una
contro-corrente, di cui è ancor meno facile individuarne le caratteristiche.
Se vogliamo, questa
contro-tendenza sarà allora un riordinarsi intorno all’interiore, nella
riconquistata consapevolezza che è il centro a generare la circonferenza e
perciò lo spirito che abita nell’uomo a dare forma anche alle sue
strutture esteriori. Non possiamo perciò cadere nell’illusione che sarà un’onda
che investirà un grande numero di uomini perché non è possibile immaginare una
tale ricettività nelle persone.
Questo, forse, era possibile
nei primi del Novecento, basti pensare ai tentativi di Guénon e di Sri
Aurobindo che non a caso parlava dell’India come “Guru delle nazioni”, in cui
vedeva il modello di nazione spirituale che avrebbe fornito l’esempio da tenere
d’occhio per una nuova sintesi. Quindi attenzione, non scambiando il dito con
la Luna, non “indianizzando” il mondo, ma additando una strada da percorrere insieme
verso una nuova sintesi ancora inimmaginabile.
Ora sappiamo che non è più
possibile, che nessuno Stato ha la sanità mentale e l’equilibrio per poter fare da esempio
e avanguardia per gli altri, e inoltre l’occidentalizzazione e la
modernizzazione dell’Oriente hanno completamente asfaltato questa possibilità.
Ma allora che cosa può essere oggi “il Guru delle nazioni”? Sapendo che è nell’interiore e non in una struttura esterna
che bisogna cercare, che cos’è l’ “interiore” per una collettività?
È lo stile di vita che
ne è alla base.
E questo perché lo stile di
vita unifica, ma realmente, ed è il
riflesso dello stato coscienziale degli individui che formano il gruppo, e dei
gruppi che formano la collettività. È lo stile di vita che genera una cultura e che, se è disarmonica o manca completamente, porta alla dissoluzione di una civiltà.
Perciò non sarà più quello o
quell’altro Stato a poter fare da “Guru”, ma un gruppo di uomini, una “nazione”
semmai nel vecchio significato del termine, che scelgono di provare a
sintetizzare un modus vivendi
armonico e di tradurre anche nel vivere quotidiano le verità che hanno
raggiunto.
E allora non più in forme di
governo e strutture sociali, ma in un rinnovato
stile di vita, che abbia tratti comuni per tutte le culture dell’umanità
sparse per il mondo – lasciando ovviamente e necessariamente spazio per le
differenze geografiche, bisogna unire non appiattire –, perché questa è una
sfida planetaria ed è richiesta un’enorme
apertura mentale per intravvederne la portata.
Lo stile di vita, di una
persona prima ancora di un gruppo, è il riflesso spontaneo dello stato di
coscienza in cui si trova, perciò non basterà l’entusiasmo delle “comuni” stile
anni Settanta o delle “comunità” sorte in vari ambiti religiosi, per quanto
possano offrire spunti interessanti.
Perciò si tratterà di persone
già molto avanzate sul cammino di autoconoscenza, che di conseguenza sentiranno la necessità indomabile incanalare questa
nuova sintesi all’orizzonte.
L’effettiva realizzazione di
tutto questo, perciò, sarà il risultato dell’essere stati in grado di
realizzarsi interiormente, e del mettere a disposizione per tutta l’umanità
questa consapevolezza, al servizio del Vento che soffia dove vuole.
[1] Gustav Le Bon, Psicologia delle folle, Edizioni Clandestine, Massa 2013 (originale
1895), pp. 68-69.
In nota si legge: “Se la decentralizzazione, di
cui oggi parlano spiriti imprevidenti, potesse essere attuata, finirebbe con le
più sanguinose discordie. Non riconoscere ciò, significa dimenticare
completamente la nostra storia”.
[2] Ibidem,
pp. 66.
[3] Sri Aurobindo, L’ideale del Karmayogin, nel 1° numero della rivista “Karmayogin”
del 19 giugno 1909. Originale inglese: “The
European sets great store by machinery. He seeks to renovate humanity by
schemes of society and systems of
government; he hopes to bring about the millennium by an act of Parliament.
Machinery is of great importance, but only as a working means for the spirit
within, the force behind.”
[5] Ma nella propria essenza è contenuta
anche la propria ragione di esistenza, per cui, rinnegandola, inizia il
processo di dissoluzione che porterà alla propria scomparsa proprio perché
verranno a mancare i motivi del proprio stare al mondo. E questo vien fatto,
paradossalmente, per preservare e continuare a tutti i costi la propria stessa esistenza!
È incredibile come persone che sono
arrivate ad essere politici e leader religiosi sulla scena mondiale, abituati a
districarsi tra le più delicate incombenze e a trattare con numerosi ed enormi
gruppi di interessi, perdano poi di vista una cosa talmente elementare. Questo
è tra l’altro il risultato della cecità causata dall’occuparsi troppo dei
propri interessi, del proprio tornaconto personale, insomma dell’esteriorità.