La necessità della metànoia introvabile secondo
E. Severino
“Morte, tecnica e gioia”, intervista a Emanuele Severino del 2012
Pubblico qui
un’interessante intervista fatta al prof. Severino, filosofo contemporaneo, che
non seguendo la linea attuale che vuole la filosofia “ancilla tecnocratiae” ne critica la deriva degli ultimi duecento
anni e la perdita di connessione al patrimonio della “grande tradizione
Occidentale”.
Ovviamente Severino è
alieno da ogni esoterismo e in quella che per lui è la “grande tradizione
Occidentale” ci sono pensatori che un Guénon non avrebbe esitato a estirpare
come la malerba, tant’è che lui individua la rottura con questa tradizione a
soli due secoli fa, sostanzialmente con Hegel, laddove chi ha un po’ di
confidenza con la spiritualità sa bene che, pur con eccezioni, è difficile
trovare dell’acqua che sappia spegnere la sete di cose celesti dopo il XIV
secolo.
In particolare Severino
non si limita ad osservare che la filosofia in quel momento ruppe col passato
irreversibilmente, ma che da allora abbia anzi assunto la funzione di
legittimatrice della devastazione spirituale e culturale in nome della
tecnica, da lui definita una vera e propria « follia »: “Non solo si mette in questione il fondamento
dell’Occidente, ma il responsabile primario della follia dell’Occidente è il
pensiero filosofico, questo bisogna tenerlo presente.” (1.08.40 del video).
Nella categoria “pensiero filosofico” si può scorgere,
ampliandone la visione, tutte quelle influenze che hanno anestetizzato la
coscienza umana, e che quindi non si riducono soltanto alla filosofia.
Dal dopo-Hegel i filosofi diventano un organo del “sistema”
tutti indaffarati a imbavagliare la coscienza umana per non permetterle di
prendere consapevolezza dello stupro
che si stava (e ancora si sta) attuando a suo danno: “I duecento anni di cui
parlavamo prima del pensiero filosofico è la “smentita” di questo quadro
grandioso in cui ci si tenta di difendere dalla morte.” (1.15.03 del video).
Sì perché, secondo Severino, compito della “grande
tradizione Occidentale” è quello di offrire un quadro in cui si risolve e si
superi il problema della morte, eterno cruccio dell’uomo. Che, tutto sommato, è
ciò che si arriva a capirne per chi c si approcci solamente da un punto di
vista “mentale” e concettuale.
Severino si è accorto dell’esigenza fondamentale del nostro
tempo, e cioè rendersi conto di aver volontariamente reciso i legami col
passato per legittimare una visione del mondo malata, ammetterne il gravissimo errore e fare una grande “sterzata” di recupero
prima che la follia dell’Occidente – e oramai di tutto il mondo, come anche da
lui affermato – risulti letale.
Questa presa di coscienza è quanto sarebbe più auspicabile
oggi. Purtroppo ne siamo ben lontani.
Severino col suo “neoparmenidismo” ha avviato un tentativo
di riallacciamento a un filone che pur essendo più “tradizionale” rispetto a
quegli altri filosofi che poi aprirono la strada al razionalismo imperante,
doveva per forza mancare di efficacia sul piano generale perché manca
dell’elemento realizzativo. Rimane comunque uno dei pochi filosofi con spunti
interessanti, e uno dei pochi che abbia sottolineato la primaria necessità per
l’Occidente di una metànoia, di un “pentimento” (parola che nella Filocalia traduce appunto il greco
metànoia, che però ora evoca più sensi di colpa che altro) e di un ritorno all’essenziale,
all’ “unica cosa che conta” come direbbe San Bernardo.