Queste sono frasi del *1917*, ben 99 anni fa, in cui si poteva
scorgere cosa sarebbe diventato il modo di vivere Occidentale (e in seguito
globale) e quello dell'esistenza di ogni persona, in questo stretto, buio e
desolante mondo "all'avanguardia". E Sri Aurobindo non poteva ancora
scorgere il deprimente
silenzio che rimbomba oggi nelle strade, di cui dobbiamo dir
grazie alla "super-mega-iper rivoluzione" dataci dal fantastico mondo
virtuale...
“Ma se la Scienza ci ha così preparato per una età di più ampia e
profonda cultura e se nonostante e a volte grazie al suo materialismo essa ha
reso impossibile il ritorno del vero materialismo, quello della mentalità
barbara, essa ha incoraggiato più o meno indirettamente sia con la sua
attitudine alla vita e sia con le sue scoperte un altro tipo di barbarismo, –
in quanto non può essere chiamato in altro modo, — quello dell’età industriale,
commerciale, economica che sta procedendo ora verso il suo culmine e la sua
conclusione. Il barbarismo economico è essenzialmente quello dell’uomo vitale
che confonde l’essere vitale per il sé e accetta la sua soddisfazione come il
primo scopo della vita. La caratteristica della Vita è il desiderio e l’istinto
di possesso. Così come il barbarismo fisico fa dell’eccellenza del corpo e lo
sviluppo della forza fisica, salute e prodezza il suo standard e scopo, così il
barbarismo vitalistico o economico fa della soddisfazione delle volizioni e dei
desideri e l’accumulazione di possessi il suo standard e scopo. Il suo uomo
ideale non è l’acculturato o il nobile o il meditativo o il morale o il
religioso, ma l’uomo di successo. L’arrivare, l’avere successo, il produrre,
l’accumulare, il possedere è la sua esistenza. L’accumulazione di ricchezza e
più ricchezza, l’aggiungersi di possessi su possessi, opulenza, esibizione,
piacere, ingombrante lussuria inartistica, una pletora di convenienze, vita
svuotata di bellezza e nobiltà, religione volgarizzata o freddamente
formalizzata, politica e governo divenuti commercio e professione, il godimento
stesso reso un business, questo è il commercialismo. Per il naturale uomo
irredento la bellezza è una cosa oziosa o una seccatura, arte e poesia una
frivolezza o un’ostentazione e un mezzo di pubblicità. La sua idea di civiltà è
il comfort, la sua
idea di morale la responsabilità sociale, la sua idea di politica
l’incoraggiamento dell’industria, l’apertura dei mercati, sfruttamento e
commercio che seguono la bandiera, l’idea di religione al meglio un formalismo
pietistico o la soddisfazione di certe emozioni vitalistiche. Egli valuta
l’istruzione per la sua utilità di formare un uomo di successo in una esistenza
competitiva o, in alternativa, industriale socialistizzata, la scienza per le
utili invenzioni e conoscenze, i comfort, le convenienze, i macchinari
industriali che lo armano, il suo potere per l’organizzazione, la
regolamentazione, lo stimolo alla produzione. Il plutocrate opulento e il
mammut capitalista di successo e organizzatore di industria sono i superuomini
dell’età commerciale e i veri, anche se spesso occulti sovrani della sua società.
L’essenziale barbarismo di tutto questo sta nel perseguimento del
successo vitale, del soddisfacimento, della produttività, dell’accumulazione,
del possesso, del godimento, del comfort, delle convenienze per il suo proprio
interesse.”
— Sri Aurobindo, Il Ciclo Umano, cap. VIII, pag. 79-80, Sri Aurobindo Ashram Publication Department, 1997.