giovedì 29 dicembre 2016

"Lo Spirito Ideale della Poesia", cap. I del libro di Aurobindo "The Future Poetry"

"Lo Spirito Ideale della Poesia", 
cap. I del libro di Aurobindo 
"The Future Poetry" del 1917-1920

(La traduzione è mia, perdonatene dunque i molti errori e difetti)


Tentare di presagire il futuro risvolto o sviluppo della mente o della vita in uno dei suoi campi sarà sempre un’avventura azzardata. In quanto vita e mente non sono come la Natura fisica; i processi della Natura fisica corrono in precisi solchi meccanici, ma questi sono poteri più mobili e liberi. Gli dei della vita e ancor più gli dei della mente sono così incalcolabilmente auto-creativi che anche laddove riusciamo a distinguere le linee principali sul quale corre il lavoro o a lungo ha corso, siamo ancora incapaci di precorrere con alcuna certezza quale risvolto essi già prenderanno o per quale nuova cosa essi sono all’opera. È perciò impossibile predire a cosa assomiglierà in realtà la poesia del futuro. Noi possiamo vedere dove siamo oggi, ma non possiamo dire dove saremo da qui a un quarto di secolo. Tutto ciò che si può fare è distinguere per se stessi alcune possibilità che giacciono davanti la mente poetica della razza e figurarsi cosa possa raggiungere se essa scelga di seguire certe grandi aperture che il genio dei poeti recenti e contemporanei ha reso libere per noi; ma quale percorso essa in realtà sceglierà di percorrere o quali nuove altezze tenterà, attende ancora per la sua ancora informata decisione.
   Quale sarebbe lo spirito ideale della poesia in un’età di crescente mente intuitiva: questa è la questione che sorge da tutto ciò che abbiamo visto prima e alla quale possiamo tentare alcuni tipi di risposta. Ho parlato all’inizio del Mantra come la forma rivelante più alta e più intensa del pensiero ed espressione poetici. Ciò che i poeti Vedici vollero esprimere con il Mantra fu un’ispirata e rivelata visione e un pensiero visionario, accompagnato da una realizzazione, per usare la ponderata ma necessaria parola moderna, di alcune delle più profonde verità su Dio e sul Sé e sull’uomo e sulla Natura e sul Cosmo, e sulla vita e sulle cose e sul pensiero, sull’esperienza e sulle azioni. Fu un pensiero che giunse sulle ali di un grande ritmo dell’anima, il chandas. Perché la visione non potrebbe essere separata dall’ascolto; fu un solo atto. Né potrebbe la permanenza viva della verità in se stessi con la quale intendiamo la realizzazione, essere separata da l’una o l’altra, in quanto la sua presenza nell’anima e il suo possesso nella mente devono precedere o accompagnare nel creatore o canale umano quella espressione della vista e ascolto interiore che prende la forma di parola luminosa. Il Mantra è nato attraverso il cuore  e formato o sostanziato dalla mente pensante in un carro di quella divinità dell’Eterno del quale la verità vista è un volto o una forma. E pure nella mente del buon uditore esterno che ascolta la parola del poeta-veggente, queste tre devono venire insieme, se la nostra parola è un vero Mantra. La vista di una verità profonda deve accompagnare l’ascolto, il possesso della mente del suo spirito profondo e il suo ritornare a casa dell’anima devono accompagnare o seguire immediatamente il messaggio ritmico della Parola e della vista della Verità della mente. Ciò potrebbe sembrare più una spiegazione mistica della faccenda, ma sostanzialmente ci potrebbe difficilmente essere una più completa descrizione della nascita e dell’effetto della parola ispirata e rivelante, e potrebbe essere applicata, nonostante generalmente su una scala molto minore di quella che fu intesa dai Rishi Vedici, a tutte le più alte esplosioni di poesia veramente grande. Ma la poesia è Mantra solo quando è la voce della verità profonda ed è nascosta nel più alto potere della reale parola e ritmo di quella verità. E gli antichi poeti dei Veda e delle Upanishad ritennero di proferire il Mantra perché fu sempre questa profonda e perlopiù occulta verità delle cose che essi si sforzarono di vedere e ascoltare e raccontare e perché essi credettero che loro stessero usando o trovando i suoi ritmi innati dell’anima e la sua parola sacrificale lanciata dal divino Agni, il sacro Fuoco nel cuore dell’uomo. Il Mantra in altre parole è una parola diretta e più accresciuta, più intensa e più divinamente gravata ritmicamente che incarna una ispirazione intuitiva e rivelatoria e anima[1] la mente con la vista e la presenza del vero sé, la profonda realtà delle cose, e con la sua verità e con la sua divina forma dell’anima, le Divinità che sono nate dalla Verità vivente. O, permettiamoci di dire, è un supremo linguaggio ritmico che afferra con tutto ciò che è finito e porta in questo la luce e la voce del suo proprio infinito.
   Questa è una teoria della poesia, una vista della auto-espressione ritmica e creativa ciò al quale diamo questo nome, che è realmente differente da tutto ciò che noi abbiamo, una sacra o ieratica ars poetica possibile solamente nei giorni in cui l’uomo credeva di essere vicino agli dei e sentiva la sua presenza nel suo seno e può pensare di sentire alcuni accenti della loro divina ed eterna saggezza prendere forma sulle altezza della sua mente. E forse nessuna età del pensiero è stata così profondamente rimossa da qualunque tipo di visione della nostra vita come quella attraverso la quale siamo passati recentemente e ancora adesso non siamo ancora usciti completamente dalla sua ombra, l’età del materialismo, l’età del positivo dato di fatto esteriore e della ragione scientifica e utilitaristica. E già abbastanza curiosamente – o naturalmente, da quando l’economia della Natura l’opposto crea se stesso dall’opposto e non solo il simile dal simile, – è verso qualche luce quantomeno distante della vista di noi stessi al nostro massimo del quale queste idee sono state un’espressione concretizzata a cui noi sembriamo di star ritornando. In quanto nonostante possiamo notare ciò in circostanze realmente differenti, in forme più diffuse, con una mente più complessa e una base di cultura e civiltà enormemente allargata, il guadagno e l’eredità di molte età intermedie, è ancora verso qualcosa veramente vicino allo sforzo che fu dell’anima dei Vedici o almeno della mente Vedantica che noi appariamo essere vicini sul punto di ritorno nel circolo del nostro corso. Ora che abbiamo visto minutamente cos’è la realtà materiale del mondo in cui viviamo e abbiamo un po’ di conoscenza della realtà vitale della Forza che noi tiriamo fuori, stiamo alla fine iniziando a cercare di nuovo la realtà spirituale di cui noi e tutte le cose segretamente siamo. Le nostre menti stanno una volta di più tentando di figurarsi il sé, lo spirito dell’Uomo e lo spirito dell’universo, intellettualmente, nessun dubbio, per prima, ma da questo al vecchio sforzo di vista, alla realizzazione entro noi stessi e in tutto non è un passo realmente lontano. E con questo sforzo deve sorgere anche sulla mente umana la concezione delle divinità in cui questo Spirito, questo meraviglioso Sé e Realtà che cova sopra il mondo, prende forma nell’anima e vita liberate dell’essere umano, sue divinità di Verità e Libertà e Unità, sue divinità di un più grandi e più altamente visionarie Volontà e Potere, sue divinità di Amore e universale Beatitudine, sue divinità di universale ed eterna Bellezza, sue divinità di una suprema Luce e Armonia e Bene. I nuovi ideali della razza sembrano già essere toccati da alcune prime ombre luminose di queste cose, e nonostante sia solo una sfumatura, un rossore colorante la monotona atmosfera della nostra recente mentalità, ci sono tutti i segni che questa sfumatura si approfondirà e crescerà, nei cieli verso i quali alziamo lo sguardo se non una volta nella terra della nostra vita attuale.
   Ma questa nuova visione non sarà come nei vecchi tempi qualcosa di ieraticamente remoto, mistico, interiore, scudato dai profani, ma piuttosto una vista che sforzerà di attirare queste divinità nuovamente verso una vicina e familiare intimità con la nostra terra e incarnarle non solo nel cuore della religione e della filosofia, né solo nei più alti voli del pensiero e dell’arte, ma anche, per quanto lontano possa essere, nella vita comune e nelle azioni dell’uomo. In quanto nei giorni antichi queste cose furono Misteri, che gli uomini lasciarono ai pochi, agli iniziati e con ciò lasciandoli senza vista propria alla fine, ma lo sforzo di questa nuova mente è di rivelare, di divulgare e di portare vicino alla nostra comprensione tutti i misteri, – al momento infatti rendendoli troppo comuni ed esteriorizzati nel processo e privandoli di molta della loro bellezza e luce interiore e profondità, ma questo difetto passerà, – e questa direzione verso un’aperta realizzazione potrà ben guidare verso un’età nella quale l’uomo come razza tenterà di vivere in una più grande Verità di quelle che hanno finora governato la nostra specie. Perché tutto quello che noi sappiamo, ora tendiamo di fare alcuni tentativi di formularlo chiaramente e vivere. La sua creazione anche sarà perciò mossa da un altro spirito e lanciata verso altre linee.
  E se questo avrà luogo o anche se ci sarà qualche forte movimento mentale verso ciò, la poesia potrà recuperare qualcosa di un antico sacro prestigio. Sarà senza dubbio ancora pieno di scritti poetici che seguiranno le vecchie linee e officeranno i vecchi motivi estetici più comuni, ed è un bene che debba essere così, in quanto l’occupazione della poesia è esprimere l’anima dell’uomo a se stesso e di incarnare nella parola qualsiasi potere di bellezza egli veda; ma lì anche potrebbero pure emergere ora e prendere il primo posto anime non più avare della fiamma più alta, il poeta-veggente e il veggente-creatore, il poeta che è anche un Rishi, maestri cantori di Verità, ierofanti e maghi di una più divina e più universale bellezza. C’è stato senza dubbio sempre qualcosa di ciò ni grandi maestri di poesia nelle grandi età, ma coronare un ruolo del genere non è stata spesso l’unica idea fonte delle loro funzioni; la mente delle età ha fatto altre domande a loro, necessarie in quel tempo, e le più alte cose in questa direzione sono stati rari auto-superamenti e ancora colorati da e accordati alle mezze luci nelle quali essi cantarono. Ma se un’età giunge nella quale è in possesso comune una più profonda e più grande e più ispirante Verità, allora i suoi maestri della parola ritmica canteranno come minimo ad un più alto livello comune e potranno elevarsi più di frequente in una luce più piena e più intensa e catturare più costantemente i grandi toni dei quali questa arpa di Dio, per usare la descrizione delle Upanishad dell’essere creato dall’uomo, è segretamente capace.
   Un’era del vivere umano più grande sembra essere promessa, qualsiasi poteri più vicini e più terrestri possano essere protesi a guidarlo su una via di fuga laterale verso un ideale meno esaltato, e con questo avvento dovrà venire una nuova grande era della sua creazione differente dalle passate epoche di cui può far conto in quanto a gloria e superiore ad esse nella sua visione e motivo. Ma prima deve lì intervenire una poesia che lo condurrà verso essa dagli attuali timidi inizi. Essa verrà assistita da nuove vedute nella filosofia, un cambiato ed esteso spirito nella scienza e nuove rivelazioni in altre arti, in musica, in architettura, in scultura, altrettanto come nuovi e alti ideali nella vita e nuovi poteri di una rianimata ma non più limitata e oscurantista mente religiosa. Un bagliore di questo cambiamento è già visibile. E nella poesia c’è già il cominciamento di questo tipo di più grande guida; lo sforzo cosciente di Whitman, il tono di Carpenter, il significato della poesia di A. E., la rapida e immediata fama di Tagore sono i suoi primi segni. L’idea del poeta che è anche il Rishi ha fatto di nuovo la sua comparsa. Solo una diffusione più ampia del pensiero e della mentalità nella quale essa possa prendere corpo, è ancora necessaria per dare la forza di permanere a ciò che ora è solo un potere incipiente e appena emergente. L’umanità saziatasi delle valli sta volgendo la sua faccia una volta di più verso le altezze, e le voci poetiche che ci guideranno in quella direzione con le canzoni saranno tra le voci degli alti veggenti. In quanto il grande poeta interpreta all’uomo il suo presente o reinterpreta per lui il suo passato, ma può anche indirizzarlo verso il suo futuro e in tutti e tre gli rivela il volto dell’Eterno.
   Una poesia intuitiva rivelatrice del tipo che abbiamo in vista darà voce alla suprema armonia di cinque poteri eterni, Verità, Bellezza, Delizia, Vita e Spirito. Questi sono infatti le cinque più grandi torce ideali o piuttosto i cinque soli della poesia. E verso tre di esse la mente più elevata della razza sta in diverse direzioni reindirizzando il suo pensiero e desiderio con un nuovo tipo e nuova forza di insistenza. Il lato intellettuale del nostro recente progresso è stato infatti per lungo tempo un costante e arduo perseguimento della Verità in alcuni dei suoi campi; ma ora la verità limitata di ieri non può più soddisfarci o legarci. Molto è stato conosciuto e scoperto di ciò che non è stato trovato o soltanto intravisto prima, ma il massimo di tutto ciò appare ora veramente piccolo comparato con l’infinitamente di più che fu lasciato in disparte e ignorato e che ora invita la nostra ricerca. La descrizione che l’antico poeta Vedico una volta diede della visione della Verità divina, si applica vividamente alla mente della nostra era, “A modo che essa sale di altezza in altezza, ecco che diventa chiaro alla sua vista tutto ciò che ancora deve esser compiuto.” Ma sta anche iniziando ad essere visto che solo in alcuni grandi risvegli al Sé e all’essere spirituale dell’uomo deve essere trovata quella verità ancora non vissuta e quell’infinitamente di più essere raggiunto. È solo allora che la pienezza di una conoscenza più grande per l’uomo che vive sulla terra potrò rivelarsi e spogliarsi dei suoi rivestimenti e di nuovo alle sue mente e anima più profonde, nelle parole di un altro poeta-veggente Vedico, “Nuovi stati vengono alla nascita, rivestimento su rivestimento risvegliato alla conoscenza, fino a che si veda interamente il grembo della Madre.” Questa nuova-antica luce sta ora ritornando sopra le nostre menti. Gli uomini non credono più completamente che il mondo sia una macchina ed essi materia pensante così transeunte, una visione dell’esistenza nel mezzo del quale per quanto d’aiuto possa essere per una vittoriosa concentrazione sulle scienze fisiche sul benessere sociale, economico e materiale, né la religione né la saggezza filosofica potrebbero rinnovare i loro poteri nella fontana dello spirito né l’arte e la poesia, che sono pure cose dell’anima come la religione e la saggezza, potrebbero rinfrescarsi nelle native fonti di forza. Ora stiamo tornando indietro dall’ossessione fisica alla coscienza che c’è un’anima e un più grande sé dentro di noi e nell’universo che trova espressione qui nella vita e nel corpo.
   Ma la mente di oggi insiste troppo e giustamente insiste sulla vita, sull’umanità, sulla dignità del lavoro e dell’azione. Non abbiamo più alcuna lite ascetica con la nostra madre terra, ma piuttosto berremmo pienamente del suo seno di bellezza e potere e innalzare la sua vita verso una grandezza più perfetta. Il pensiero ora dimora più sull’idea di una vasta e creativa volontà di vita e di azione come segreto dell’esistenza. Questo modo di vedere, nonostante possa dare spazio a un più grande potere di arte e poesia e filosofia e religione, in quanto porta reali valori dell’anima, ha le sue limitazioni come suo pericolo. Uno spirito che è tutta la vita perché esso è più grande della vita, è piuttosto la verità nella quale noi più potentemente vivremo. Aditi, la Madre infinita, piange nell’antico inno vedico a Indra il divino Potere ora in procinto di nascere nel suo grembo, “Questo è il percorso antico scoperto di nuovo mediante il quale tutti gli dei vennero alla nascita, anche in questa via verso l’alto tu dovresti nascere nella tua crescita; ma non andare avanti con queste altre per non far cadere tua madre,” ma se, rifiutando la via verso l’alto, il nuovo spirito nel processo di nascita risponde come il dio, “Per questa strada io non andrò avanti, perché è difficile da percorrere, lasciami venir fuori diritto sul livello del tuo fianco; io ho diverse cose da fare che non sono ancora state compiute; con le une devo lottare e con le altre devo interrogare la Verità”, allora la nuova età potrà fare grandi cose, come l’ultima fece pure grandi cose, ma mancherà la via più alta e finirà come quella in catastrofe. Non c’è ragione per cui noi dobbiamo così limitare la nostra nuova nascita nel tempo; in quanto spirito e vita non sono incompatibili, ma piuttosto un più grande potere dello spirito porta un più grande potere di vita. Poesia e arte più di tutti i nostri poteri possono aiutare a portare questa verità a casa alla mente dell’uomo con una forza illuminante e universale[2], mentre la filosofia potrebbe perdersi in astrazioni e la religione voltarsi verso un intollerante altromondanismo e ascetismo, poesia e arte sono nati mediatori tra l’immateriale e il concreto, lo spirito e la vita. Questa mediazione tra la verità dello spirito e la verità della vita sarà una delle principali funzioni della poesia del futuro.
   Le altre due torce sorelle di Dio, colorano soli dell’Ideale, che la nostra era ha perlopiù oscurato e della quale luce rigenerante c’è più tristemente bisogno, ma ancora troppo strenuamente esteriorizzati e utilitaristici per sentirne sufficientemente la loro assenza, Bellezza e Delizia, sono pure cose spirituali e fanno fuoriuscire il reale cuore della dolcezza e del colore e della fiamma degli altri tre. La Verità e la Vita non hanno la loro perfezione finché non siano soffuse e riempite con il potere completante della delizia e il fine potere della bellezza e diventino uno alle loro cime con questa perfetta tonalità e questa segreta essenza di loro stessi; lo spirito non ha piena rivelazione senza queste due appaganti presenze. In quanto l’antica idea Indiana è assolutamente vera che quella delizia, Ananda, è la più profonda natura espressiva e creativa del sé libero perché è la reale essenza dell’essere originale dello Spirito. Ma la bellezza e la delizia sono anche la reale anima e origine dell’arte e della poesia. È il significato e la funzione spirituale dell’arte e della poesia liberare l’uomo nella pura delizia e portare la bellezza nella sua vita. Solo che ci sono gradi e altezze qui come in tutto il resto e i più alti tipi di delizia e bellezza sono quelli che sono uno con la più alta Verità, la perfezione della vita e la gioia più pura e più piena dello Spirito autorivelantesi. Di conseguenza la poesia troverà più se stessa e entrerà più completamente nelle sue eredità quando arriverà alla più ricca armonia di queste cinque cose nella loro più splendida e ampia dolcezza luce e potere; ma questo potrà interamente essere solo quando essa canterà dai più alti cieli della visione e si spazierà attraverso le più vaste estensioni del nostro essere.
   Questi poteri possono infatti essere posseduti su ogni scala, perché su qualunque grado dell’ascesa noi stiamo, lo Spirito, il divino Sé dell’uomo è sempre qui, può erompere in una forte fiamma di manifestazione trasportando in essa tutte le sue divinità in qualsiasi forma, e la poesia e l’arte sono tra i mezzi con i quali esso fa così nascere se stesso nell’espressione. Perciò l’essenza della poesia è eternamente la stessa e il suo potere essenziale e la rilevanza del genio ampliato potrebbe essere la stessa qualsiasi sia la cornice della visuale, che sia Omero cantante degli eroi in una battaglia mossa dagli dei poco prima di Troia e di Odisseo vagante tra le meraviglie delle isole remote e magiche col cuore sempre rivolto al suo cuore umano perso e lontano, Shakespeare cavalcando sulla sua impennata di colori e musica multiformi e di passione della vita, o Dante errante nel mezzo delle sue terribili o beatifiche visioni dell’Inferno e del Purgatorio e del Paradiso, o Valmiki cantando dell’uomo ideale che impersona Dio e il gigante egoista Rakshasa impersonando la sola violenta volontà di se stessi che si avvicinano l’uno all’altro dai loro differenti centri della vita e nelle loro differenti leggi dell’essere per la lotta voluta dagli dei, o qualche mistico Vamadeva o Vishwamitra dando voce in strani vividi e ora dimenticati simboli l’azione degli dei e le glorie della Verità, la battaglia e il viaggio verso la Luce, le doppie ricchezze e la scalata sacrificale dell’anima verso l’Immortalità. In quanto che sia l’immaginazione ispirata fissata sulla terra o l’anima della vita o la ragione ispirata o l’alta intuiva visione spirituale a dare la forma, il genio del grande poeta ne coglierà alcune verità dell’essere, alcuni respiri di vita, alcuni poteri dello spirito e li farà uscire con una certa forza suprema per la sua e la nostra delizia e gioia nella loro bellezza. Ma ciononostante la poesia che può tenere l’ampiezza della sua dimensione e la vicinanza del suo tocco e già vedere tutte le cose da una più alta vetta darà, il resto rimanendo uguale, più e soddisferà più pienamente l’interezza di ciò che siamo e perciò l’interezza di ciò che domandiamo da questa più completa di tutte le arti e più sottile di tutti i nostri mezzi di auto-espressione estetica.
   La poesia del futuro, se manterrà ampiamente la sua promessa che ora è soltanto un ricco indizio, accenderà queste cinque torce del nostro essere, ma le innalzerà ancora più in alto e illuminerà con essa un più largo paese, molti paesi infatti ora nascosti alla nostra vista, li renderà non più torce in qualche limitato tempio della bellezza, ma soli nei cieli della nostra mente più alta e illuminazioni della nostra più vasta come della più profonda vita. Sarà una poesia di una nuova e più larga visione di sé e della Natura e di Dio e di tutte le cose che si sta offrendo all’uomo e della sua possibile realizzazione in una più nobile e divina umanità; e non canterà di essa solamente con il potere dell’intelligenza immaginativa, del senso esaltato ed estasiato o della gioia commossa e della passione della vita, ma si innalzerà per guardarli da una luce più intensa e incarnarli in una più rivelante potenza del mondo. Sarà innanzitutto e soprattutto una poesia della ragione intuitiva, dei sensi intuitivi, dell’intuitiva anima-delizia in noi, prendendo da questa arricchita fonte di ispirazione un entusiasmo e un’estasi poetiche più sovrane, e quindi, potrebbe anche essere, alzarsi verso un ancor più grande potere di rivelazione più vicino alla diretta visione e parola della Sovramente dalla quale tutte le ispirazioni creative giungono.
    Una poesia di questo tipo non avrà bisogno di essere del tutto qualcosa di elevato e remoto o di meravigliosamente e delicatamente intangibile, o non questo soltanto, ma renderà anche le più alte cime vicine, prossime e visibili, canterà grandemente e meravigliosamente di tutto ciò che è stato cantato, tutto ciò che siamo dal corpo esteriore fino al reale Dio e Sé, del finito e dell’infinito, del transeunte e dell’Eterno, ma con una nuova visione riconciliante e unificante che li renderà estranei a noi più di quanto siano stati anche quando ancora erano i medesimi. Se essa volerà fino alle cime, non lascerà la terra inesplorata sotto di sé, ma pure non confinerà se stessa alla terra, ma troverà anche nuove realtà e i loro poteri sull’uomo e prendere tutti i piani d’esistenza per il suo impero. Essa prenderà e trasformerà i segreti dei poeti più vecchi e troverà nuovi e non scoperti segreti, trasfigurerà i vecchi ritmi con l’insistenza della voce del suo più profondo e più sottile spirito e creerà nuove armonie caratteristiche, rivelerà altri più grandi poteri e spiriti del linguaggio, procedendo dal passato al presente già non sarà limitato da essi o dalle loro regole e forme e canoni, ma sarà bussola della sua propria arte poetica alterata e perfezionata. Questo è almeno il suo possibile sforzo ideale, e quindi il tentativo stesso sarebbe un elisir ringiovanente e metterebbe lo spirito poetico una volta di più nel fronte splendente dei poteri e delle guide dell’umanità sempre progredente. Lì essa sarà guidata nel viaggio come il Vedico Agni, l’ardente datore del mondo, yuvā kavih, priyo atithir amartyo mandrajihvo, ṛtacid ṛtāvā, il Giovane, il Veggente, l’amato e immortale Ospite con la sua dolcissima lingua di estasi, il cosciente di Verità, il cercatore di Verità, nato come fiamma dalla terra e già il messaggero celeste degli Immortali.




[1] In traduzione si perde il parallelo tra “embodies” e “ensouls”, a indicare le due direzioni dell’azione del Mantra che “si fa corpo” dell’ispirazione divina e “animizza”, “in-anima” la mente con la presenza del vero sé.
[2] "Catholic" nel testo originale.

mercoledì 23 novembre 2016

Il “Guru delle nazioni” non sarà più uno Stato

Il “Guru delle nazioni” non sarà più uno Stato


Gustav Le Bon, nel suo insuperato saggio “Psicologia delle folle”, aveva una visione negativa della decentralizzazione del potere e della società adducendo che non poteva che generare discordie e ulteriori frammentazioni, in quanto “condurrebbe ad una insana anarchia, preludio ad un avvento di una nuova centralizzazione più gravosa della precedente”[1].
Ora, mutatis mutandis, possiamo intendere la deglobalizzazione come una fase planetaria di decentralizzazione, di risorgenza dei nazionalismi e delle destre. Ma come tutti i falsi ritorni, non potrà funzionare, e finirà generando una contro-corrente centralizzante come evidenziato sopra da Le Bon e recentemente da Andrea A. Ianniello (cfr. http://associazione-federicoii.blogspot.it/2016/11/il-bignamino-parte-2.html) da cui sto attingendo a piene mani per sviluppare l’analisi.
Sperare che l’ennesimo cambiamento della struttura istituzionale della società possa comportare un cambiamento dell’uomo è la chimera dell’uomo moderno a cui non ha mai veramente rinunciato. Scriveva sempre Le Bon: “È ancora diffusa l’idea che le istituzioni possano rimediare ai difetti della società, che il progresso dei popoli sia il risultato dei loro governi e che i progressi sociali si possano operare a furia di decreti”[2]. Queste parole risultano estremamente simili a ciò che scriverà Sri Aurobindo nel primo numero della rivista Karmayogin, da lui fondata per dare un’accelerata ai moti indipendentisti dell’India di inizio Novecento: “L’Europeo ripone molta fiducia nell’apparato istituzionale. Egli cerca di rinnovare l’umanità mediante schemi di società e sistemi di governo; cerca di portare il millennio con un atto parlamentare. L’apparato istituzionale è di grande importanza, ma solo come mezzo operativo per lo spirito interiore, la forza che sta dietro.”[3]

A giudicare dalle date di pubblicazione di questi scritti, da cui è passato più di un secolo (!), sembra proprio che siamo molto duri a comprendere. È già molto difficile che una persona si risvegli alla consapevolezza che, già solo a livello individuale, è l’interiore che genera l’esteriore e che perciò un cambiamento effettivo potrà avvenire solo mutando la propria interiorità; ancora più resistenze si manifesteranno per far sì che questa verità sia riconosciuta a livello collettivo. Non è difficile, ad un certo punto, notare che non è agendo sul fisico e facendo esercizi ginnici che si svilupperà uno spirito libero, una mente fluida che permette di fluire con gli eventi e una serenità d’animo che è indipendente dalle condizioni esteriori. Più difficile parrebbe capire che le istituzioni della società, i governi e gli Stati, sono l’aspetto esteriore e fisico dell’umanità e che perciò non è sufficiente mutare questi. Nel felice paragone di Le Bon: “Un popolo non sceglie le istituzioni che gli aggradano, come non sceglie il colore dei suoi occhi e dei suoi capelli. Le istituzioni e i governi rappresentano il prodotto della sua razza.[4]” Che, nel linguaggio del tempo, significava la natura esteriore in senso quasi biologico.

Allora, tornando ai giorni attuali, questa spinta frammentatrice che si sta manifestando nel corso del 2016, tra Brexit, Trump e sempre maggior successo delle destre che si scontrano con le forze della politica più a favore della globalizzazione e del trend che è stato in auge nello scorso trentennio, dopo una fase più o meno lunga di ulteriore crisi e disfacimento del tessuto sociale, economico e politico, finiranno per riconoscere la necessità di una nuova figura “centralizzante” che ponga un nuovo argine ai conflitti e alle discordie che di qui a poco, inevitabilmente, emergeranno con ancor più prepotenza nella società. Queste contraddizioni ovviamente sono già presenti ai nostri giorni e attendono solo varco attraverso cui potersi sfogare.
Non sono certamente in grado di prevedere di che natura sarà questa “figura centralizzante”, se non che, malgrado le apparenze e le forti illusioni collettive di cui sarà circondata, sarà come nel parere di Le Bon “più gravosa della precedente” e di quelle che la storia abbia registrato.
Né avrà connotazioni puramente politiche, o economiche, ma bisognerà fare i conti anche con le contraddizioni del campo religioso che ultimamente stanno esondando dal loro campo e investendo altri ambiti, e questo non solo nell’Islam, ma anche come è evidente nel Cattolicesimo e in tutte le forme tradizionali. Forme tradizionali che stanno sempre rinnegando sempre più apertamente la loro essenza[5] per andare incontro alle folle, come l’apertura all’aborto di Papa Francesco e il Dalai Lama che preferirebbe un-a nuova Dalai Lama donna e possibilmente avvenente. Perciò non è da escludere che questa figura potrebbe anche far suoi questi e altri campi.

A questo punto, secondo la “legge di natura” descritta nel sopracitato articolo di cui ho fornito il link, anche questo “evento” porterà inevitabilmente alla nascita di una contro-corrente, di cui è ancor meno facile individuarne le caratteristiche.
Se vogliamo, questa contro-tendenza sarà allora un riordinarsi intorno all’interiore, nella riconquistata consapevolezza che è il centro a generare la circonferenza e perciò lo spirito che abita nell’uomo a dare forma anche alle sue strutture esteriori. Non possiamo perciò cadere nell’illusione che sarà un’onda che investirà un grande numero di uomini perché non è possibile immaginare una tale ricettività nelle persone.

Questo, forse, era possibile nei primi del Novecento, basti pensare ai tentativi di Guénon e di Sri Aurobindo che non a caso parlava dell’India come “Guru delle nazioni”, in cui vedeva il modello di nazione spirituale che avrebbe fornito l’esempio da tenere d’occhio per una nuova sintesi. Quindi attenzione, non scambiando il dito con la Luna, non “indianizzando” il mondo, ma additando una strada da percorrere insieme verso una nuova sintesi ancora inimmaginabile.
Ora sappiamo che non è più possibile, che nessuno Stato ha la sanità mentale e l’equilibrio per poter fare da esempio e avanguardia per gli altri, e inoltre l’occidentalizzazione e la modernizzazione dell’Oriente hanno completamente asfaltato questa possibilità.
Ma allora che cosa può essere oggi “il Guru delle nazioni”? Sapendo che è nell’interiore e non in una struttura esterna che bisogna cercare, che cos’è l’ “interiore” per una collettività?
È lo stile di vita che ne è alla base.
E questo perché lo stile di vita unifica, ma realmente, ed è il riflesso dello stato coscienziale degli individui che formano il gruppo, e dei gruppi che formano la collettività. È lo stile di vita che genera una cultura e che, se è disarmonica o manca completamente, porta alla dissoluzione di una civiltà.
Perciò non sarà più quello o quell’altro Stato a poter fare da “Guru”, ma un gruppo di uomini, una “nazione” semmai nel vecchio significato del termine, che scelgono di provare a sintetizzare un modus vivendi armonico e di tradurre anche nel vivere quotidiano le verità che hanno raggiunto.
E allora non più in forme di governo e strutture sociali, ma in un rinnovato stile di vita, che abbia tratti comuni per tutte le culture dell’umanità sparse per il mondo – lasciando ovviamente e necessariamente spazio per le differenze geografiche, bisogna unire non appiattire –, perché questa è una sfida planetaria ed è richiesta un’enorme apertura mentale per intravvederne la portata.
Lo stile di vita, di una persona prima ancora di un gruppo, è il riflesso spontaneo dello stato di coscienza in cui si trova, perciò non basterà l’entusiasmo delle “comuni” stile anni Settanta o delle “comunità” sorte in vari ambiti religiosi, per quanto possano offrire spunti interessanti.
Perciò si tratterà di persone già molto avanzate sul cammino di autoconoscenza, che di conseguenza sentiranno la necessità indomabile incanalare questa nuova sintesi all’orizzonte.
L’effettiva realizzazione di tutto questo, perciò, sarà il risultato dell’essere stati in grado di realizzarsi interiormente, e del mettere a disposizione per tutta l’umanità questa consapevolezza, al servizio del Vento che soffia dove vuole.




[1] Gustav Le Bon, Psicologia delle folle, Edizioni Clandestine, Massa 2013 (originale 1895), pp. 68-69.
In nota si legge: “Se la decentralizzazione, di cui oggi parlano spiriti imprevidenti, potesse essere attuata, finirebbe con le più sanguinose discordie. Non riconoscere ciò, significa dimenticare completamente la nostra storia”.
[2] Ibidem, pp. 66.
[3] Sri Aurobindo, L’ideale del Karmayogin, nel 1° numero della rivista “Karmayogin” del 19 giugno 1909. Originale inglese: “The European sets great store by machinery. He seeks to renovate humanity by schemes of society and systems of government; he hopes to bring about the millennium by an act of Parliament. Machinery is of great importance, but only as a working means for the spirit within, the force behind.”
[4] Ibid., pp 66.
[5] Ma nella propria essenza è contenuta anche la propria ragione di esistenza, per cui, rinnegandola, inizia il processo di dissoluzione che porterà alla propria scomparsa proprio perché verranno a mancare i motivi del proprio stare al mondo. E questo vien fatto, paradossalmente, per preservare e continuare a tutti i costi la propria stessa esistenza!
È incredibile come persone che sono arrivate ad essere politici e leader religiosi sulla scena mondiale, abituati a districarsi tra le più delicate incombenze e a trattare con numerosi ed enormi gruppi di interessi, perdano poi di vista una cosa talmente elementare. Questo è tra l’altro il risultato della cecità causata dall’occuparsi troppo dei propri interessi, del proprio tornaconto personale, insomma dell’esteriorità.